"Es domingo por la mañana y estoy escribiendo una carta de amor. Del
otro lado de la ventana de la cocina el cielo brilla y los planetas
chocan unos contra otros. Siento la cabeza hirviente y estoy un poco
inquieto. Mi cerebro empieza a comportarse como un V-8 con los cables
cruzados. Las cosas ya no son lo que parecen ser. Mis teléfonos están
embrujados y oigo animales que me susurran desde lugares que no llego a
ver.
Anoche, un inmenso gato negro trató de atacarme en la piscina
y después, súbitamente, desapareció. Me di vuelta y entreví tres
hombres con chaquetas verdes que me observaban desde detrás de una
alejada puerta. Uy -pensé-, algo extraño está ocurriendo en este lugar.
Húndete bien en el agua en el centro de la piscina.
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lunes, 18 de julio de 2016
sábado, 27 de febrero de 2016
La Rivoluzione non è che un sentimento
L'alba
meridionale
Torno, ritrovo il fenomeno della fuga
del capitale, l’epifenomeno (infimo)
dell’avanguardia. La polizia tributaria
(quasi accertamento filosofico
sugli incartamentidi un poeta)
fruga in quel fatto privato che sono i soldi,
contaminati da carità, dolenti
di inspiegabili consunzioni, e pieni
di senso di colpa, come il corpo da ragzzi:
però con mia gongolante leggerezza perché qua,
non c’è da accertare nulla, se non la mia ingenuità.
Torno, e trovo milioni di uomini occupati
soltanto a vivere come barbari discesi
da poco su una terra felice, estranei
ad essa, e suoi possessori. Così nella vigilia
della Preistoria che a tutto ciò darà senso,
riprendo a Roma le mie abitudini
di bestia ferita, che guarda negli occhi,
godendo del morire, i suoi feritori...
.
Torno... e una sera il mondo è nuovo,
una sera in cui non accade nulla - solo,
corro in macchina - e guardo in fondo
all’azzurro le case del Prenestino –
le guardo, non me ne accorgo, e invece,
quest’immagine di case popolari
dentro l’azzurro della sera, deve
restarmi come un’immagine del mondo
(davvero chiedono gli uomini altro che vivere?)
- case qui piccole, muffite, di crosta bianca,
là alte, quasi palazzi, isole color terra,
galleggianti nel fumo che le fa stupende,
sopra vuoti di strade infossate, non finite,
nel fango, sterri abbandonati, e resti
d’orti con le loro siepi - tutto tacendo
come per notturna pace, nel giorno. E gli uomini
che vivono in quest’ora al Prenestino
sono affogati anch’essi in quelle strie
sognanti di celeste con sognanti lumi
- quasi in un crepuscolo che mai
si debba fare notte - quasi consci,
in attesa di un tram, alle finestre,
che l’ora vera dell’uomo è l’agonia -
e lieti, quasi, di ciò, coi loro piccoli,
i loro guai, la loro eterna sera -
ah, grazia esistenziale degli uomini,
vita che si svolge, solo, come vera,
in un paesaggio dove ogni corpo è solo
una realtà lontana, un povero innocente.
.
Torno, e mi trovo, prima d’un appuntamento
da Carlo o Carlone, da Nino a Via Rasella
o da Nino a Via Borgognona, in una zona
oggetto di mie sole frequentazioni...
Due o tre tram e migliaia di fratelli
(col bar luccicante sullo spiazzo,
e il dolore, spento nelle coscienze italiane,
d’essere poveri, il dolore del ritorno a casa,
nel fango, sotto nuove catene di palazzi)
che lottano, si colpiscono, si odiano tra loro,
per la meta di un gradino sul tram, nel buio,
nella sera che li ignora, perduti in un caos
che il solo fatto d’appartenere a un rione remoto
lo delude nel suo essere una cosa reale.
Io mi ritrovo il vecchio cuore, e pago
il tributo ad esso, con lacrime
ricacciate, odiate, e nella bocca
le parole della bandiera rossa,
le parole che ogni uomo sa, e sa far tacere.
Nulla è mutato! siamo ancora negli Anni Cinquanta!
siamo negli Anni Quaranta! prendete le armi!
Ma la sera è più forte di ogni dolore.
Piano piano i due tre tram la vincono
sulle migliaia di operai, lo spiazzo
è quello dei dopocena, sul fango, sereno,
brilla il chiaro d’una baracca di biliardi,
la poca gente fa la coda, nel vento
di scirocco di una sera del Mille, aspettando
il suo tram che la porti alla buia borgata.
La Rivoluzione non è che un sentimento.
El alba meridional
Vuelvo, encuentro de nuevo el fenómeno de la fuga
de capitales, el epifenómeno (ínfimo)
de la vanguardia. La brigada de delitos monetarios
(averiguación casí filosófica
en los expedientes de un poeta)
hurga en ese hecho privado que es el dinero
contaminado por la caridad, doliente
de inexplicables consunciones, y lleno
de sentido de culpa, como el cuerpo de jóvenes,
pero con alborozada ligereza porque aquí
no hay nada por averiguar sino mi propia ingenuidad.
Vuelvo, y me encuentro con millones de hombres afanados
tan sólo en vivir como bárbaros recién bajados
a una tierra feliz, ajenos
a ella y de ella dueños. De modo que en la vigilia
de la Prehistoria que a todo esto proporcionará sentido,
retomo en Roma mis costumbres
de bestia herida que, gozando de la muerte,
mira a los ojos a sus verdugos…
.
Vuelvo… y una noche el mundo se hace nuevo,
una noche en la que no pasa nada – corro
solo en el coche – y miro al fondo
del azul las casas del Prenestino-
las miro, no me fijo en ellas y, sin embargo,
esta imagen de casas populares
en el azul del anochecer va a quedar
en mí como una imagen del mundo
(¿en serio piden los hombres algo más que vivir?)
- aquí casas pequeñas, enmohecidas, con costras blancas,
allí altas, casi palacios, islas de color tierra,
flotando en el humo que las magnifica,
sobre vacíos de calles con baches, inacabadas
en el fango, escombros abandonados y restos
de huertos con sus setos – callando todo,
como nocturna paz en el día. Y los hombres
que a esta hora viven en el Prenestino
están, también ellos, ahogados en esas estrías
soñando con celeste y con luces de sueño
- como un crepúsculo que nunca
anocheciese - casi conscientes,
mientras esperan de un tranvía, en las ventanas,
de que la hora verdadera del hombre es la agonía -
y casi contentos de ello, con sus pequeños,
sus problemas, su tarde eterna -
ay, gracia existencial de los hombres,
vida que tiene lugar, como verdadera, sólo
en un paisaje donde cada cuerpo
no es más que una realidad lejana, un pobre inocente.
.
Vuelvo, y me encuentro, antes de una cita
en casa de Carlo o Carlone, en la de Nino en Via Rasella
o en la de Nino en Via Borgognona, en una zona
objeto de mis solitarias incursiones…
Dos o tres tranvías y millones de hermanos
(el bar brillando en el descampado
y el dolor de ser pobres apagado
en las consciencias italianas, el dolor de la vuelta
a casa por el barro, bajo cadenas nuevas deedificios)
que luchan, se golpean, se odian entre sí,
por alcanzar un escalón en el tranvía, en la oscuridad,
en la noche que les ignora, perdidos en un caos
que el mero hecho de pertenecer a un suburbio alejado
le desilusiona en su ser cosa real.
Reencuentro mi viejo corazón y pago
el correspondiente tributo, con lágrimas
tragadas, odiadas, y en la boca
las letra de la bandera roja,
las palabras que todo el mundo sabe y sabe hacer callar.
¡Nada ha cambiado! ¡Seguimos en los años Cincuenta!
¡Seguimos en los años Cuarenta! ¡A las armas!
Pero la noche es más fuerte que cualquier dolor.
Poco a poco los dos o tres tranvías vencen
a los miles de obreros, el descampado
es ese de las sobremesas, sobre el barro, sereno,
brilla el resplandor de una caseta de billares,
la escasa gente hace cola al viento
del anochecer, siroco del año mil, esperando
el tranvía que le devuelva a su oscura barriada.
La Revolución es tan sólo un sentimiento.
Torno, ritrovo il fenomeno della fuga
del capitale, l’epifenomeno (infimo)
dell’avanguardia. La polizia tributaria
(quasi accertamento filosofico
sugli incartamentidi un poeta)
fruga in quel fatto privato che sono i soldi,
contaminati da carità, dolenti
di inspiegabili consunzioni, e pieni
di senso di colpa, come il corpo da ragzzi:
però con mia gongolante leggerezza perché qua,
non c’è da accertare nulla, se non la mia ingenuità.
Torno, e trovo milioni di uomini occupati
soltanto a vivere come barbari discesi
da poco su una terra felice, estranei
ad essa, e suoi possessori. Così nella vigilia
della Preistoria che a tutto ciò darà senso,
riprendo a Roma le mie abitudini
di bestia ferita, che guarda negli occhi,
godendo del morire, i suoi feritori...
.
Torno... e una sera il mondo è nuovo,
una sera in cui non accade nulla - solo,
corro in macchina - e guardo in fondo
all’azzurro le case del Prenestino –
le guardo, non me ne accorgo, e invece,
quest’immagine di case popolari
dentro l’azzurro della sera, deve
restarmi come un’immagine del mondo
(davvero chiedono gli uomini altro che vivere?)
- case qui piccole, muffite, di crosta bianca,
là alte, quasi palazzi, isole color terra,
galleggianti nel fumo che le fa stupende,
sopra vuoti di strade infossate, non finite,
nel fango, sterri abbandonati, e resti
d’orti con le loro siepi - tutto tacendo
come per notturna pace, nel giorno. E gli uomini
che vivono in quest’ora al Prenestino
sono affogati anch’essi in quelle strie
sognanti di celeste con sognanti lumi
- quasi in un crepuscolo che mai
si debba fare notte - quasi consci,
in attesa di un tram, alle finestre,
che l’ora vera dell’uomo è l’agonia -
e lieti, quasi, di ciò, coi loro piccoli,
i loro guai, la loro eterna sera -
ah, grazia esistenziale degli uomini,
vita che si svolge, solo, come vera,
in un paesaggio dove ogni corpo è solo
una realtà lontana, un povero innocente.
.
Torno, e mi trovo, prima d’un appuntamento
da Carlo o Carlone, da Nino a Via Rasella
o da Nino a Via Borgognona, in una zona
oggetto di mie sole frequentazioni...
Due o tre tram e migliaia di fratelli
(col bar luccicante sullo spiazzo,
e il dolore, spento nelle coscienze italiane,
d’essere poveri, il dolore del ritorno a casa,
nel fango, sotto nuove catene di palazzi)
che lottano, si colpiscono, si odiano tra loro,
per la meta di un gradino sul tram, nel buio,
nella sera che li ignora, perduti in un caos
che il solo fatto d’appartenere a un rione remoto
lo delude nel suo essere una cosa reale.
Io mi ritrovo il vecchio cuore, e pago
il tributo ad esso, con lacrime
ricacciate, odiate, e nella bocca
le parole della bandiera rossa,
le parole che ogni uomo sa, e sa far tacere.
Nulla è mutato! siamo ancora negli Anni Cinquanta!
siamo negli Anni Quaranta! prendete le armi!
Ma la sera è più forte di ogni dolore.
Piano piano i due tre tram la vincono
sulle migliaia di operai, lo spiazzo
è quello dei dopocena, sul fango, sereno,
brilla il chiaro d’una baracca di biliardi,
la poca gente fa la coda, nel vento
di scirocco di una sera del Mille, aspettando
il suo tram che la porti alla buia borgata.
La Rivoluzione non è che un sentimento.
El alba meridional
Vuelvo, encuentro de nuevo el fenómeno de la fuga
de capitales, el epifenómeno (ínfimo)
de la vanguardia. La brigada de delitos monetarios
(averiguación casí filosófica
en los expedientes de un poeta)
hurga en ese hecho privado que es el dinero
contaminado por la caridad, doliente
de inexplicables consunciones, y lleno
de sentido de culpa, como el cuerpo de jóvenes,
pero con alborozada ligereza porque aquí
no hay nada por averiguar sino mi propia ingenuidad.
Vuelvo, y me encuentro con millones de hombres afanados
tan sólo en vivir como bárbaros recién bajados
a una tierra feliz, ajenos
a ella y de ella dueños. De modo que en la vigilia
de la Prehistoria que a todo esto proporcionará sentido,
retomo en Roma mis costumbres
de bestia herida que, gozando de la muerte,
mira a los ojos a sus verdugos…
.
Vuelvo… y una noche el mundo se hace nuevo,
una noche en la que no pasa nada – corro
solo en el coche – y miro al fondo
del azul las casas del Prenestino-
las miro, no me fijo en ellas y, sin embargo,
esta imagen de casas populares
en el azul del anochecer va a quedar
en mí como una imagen del mundo
(¿en serio piden los hombres algo más que vivir?)
- aquí casas pequeñas, enmohecidas, con costras blancas,
allí altas, casi palacios, islas de color tierra,
flotando en el humo que las magnifica,
sobre vacíos de calles con baches, inacabadas
en el fango, escombros abandonados y restos
de huertos con sus setos – callando todo,
como nocturna paz en el día. Y los hombres
que a esta hora viven en el Prenestino
están, también ellos, ahogados en esas estrías
soñando con celeste y con luces de sueño
- como un crepúsculo que nunca
anocheciese - casi conscientes,
mientras esperan de un tranvía, en las ventanas,
de que la hora verdadera del hombre es la agonía -
y casi contentos de ello, con sus pequeños,
sus problemas, su tarde eterna -
ay, gracia existencial de los hombres,
vida que tiene lugar, como verdadera, sólo
en un paisaje donde cada cuerpo
no es más que una realidad lejana, un pobre inocente.
.
Vuelvo, y me encuentro, antes de una cita
en casa de Carlo o Carlone, en la de Nino en Via Rasella
o en la de Nino en Via Borgognona, en una zona
objeto de mis solitarias incursiones…
Dos o tres tranvías y millones de hermanos
(el bar brillando en el descampado
y el dolor de ser pobres apagado
en las consciencias italianas, el dolor de la vuelta
a casa por el barro, bajo cadenas nuevas deedificios)
que luchan, se golpean, se odian entre sí,
por alcanzar un escalón en el tranvía, en la oscuridad,
en la noche que les ignora, perdidos en un caos
que el mero hecho de pertenecer a un suburbio alejado
le desilusiona en su ser cosa real.
Reencuentro mi viejo corazón y pago
el correspondiente tributo, con lágrimas
tragadas, odiadas, y en la boca
las letra de la bandera roja,
las palabras que todo el mundo sabe y sabe hacer callar.
¡Nada ha cambiado! ¡Seguimos en los años Cincuenta!
¡Seguimos en los años Cuarenta! ¡A las armas!
Pero la noche es más fuerte que cualquier dolor.
Poco a poco los dos o tres tranvías vencen
a los miles de obreros, el descampado
es ese de las sobremesas, sobre el barro, sereno,
brilla el resplandor de una caseta de billares,
la escasa gente hace cola al viento
del anochecer, siroco del año mil, esperando
el tranvía que le devuelva a su oscura barriada.
La Revolución es tan sólo un sentimiento.
domingo, 24 de enero de 2016
El Rinoceronte / cuento & cómic reloaded
El rinoceronte, de Juan José Arreola
Durante diez años luché con un rinoceronte; soy la esposa divorciada del juez McBride.
Joshua McBride me poseyó durante diez años con imperioso egoísmo. Conocí
sus arrebatos de furor, su ternura momentánea, y en las altas horas de
la noche, su lujuria insistente y ceremoniosa.
Renuncié al amor antes de saber lo que era, porque Joshua me demostró
con alegatos judiciales que el amor sólo es un cuento que sirve para
entretener a las criadas. Me ofreció en cambio su protección de hombre
respetable. La protección de un hombre respetable es, según Joshua, la
máxima ambición de toda mujer.
Diez años luché cuerpo a cuerpo con el rinoceronte, y mi único triunfo consistió en arrastrarlo al divorcio.
Joshua McBride se ha casado de nuevo, pero esta vez se equivocó en la
elección. Buscando otra Elinor, fue a dar con la horma de su zapato.
Pamela es romántica y dulce, pero sabe el secreto que ayuda a vencer a
los rinocerontes. Joshua McBride ataca de frente, pero no puede volverse
con rapidez. Cuando alguien se coloca de pronto a su espalda, tiene que
girar en redondo para volver a atacar. Pamela lo ha cogido de la cola, y
no lo suelta, y lo zarandea. De tanto girar en redondo, el juez
comienza a dar muestras de fatiga, cede y se ablanda. Se ha vuelto más
lento y opaco en sus furores; sus prédicas pierden veracidad, como en
labios de un actor desconcentrado. Su cólera no sale ya a la
superficie.
Es como un volcán subterráneo, con Pamela sentada encima, sonriente. Con
Joshua, yo naufragaba en el mar; Pamela flota como un barquito de papel
en una palangana. Es hija de un pastor prudente y vegetariano que le
enseñó la manera de lograr que los tigres se vuelvan también
vegetarianos y prudentes.
Hace poco vi a Joshua en la iglesia, oyendo devotamente los oficios
dominicales. Está como enjuto y comprimido. Tal parece que Pamela, con
sus dos manos frágiles, ha estado reduciendo su volumen y le ha ido
doblando el espinazo. Su palidez de vegetariano le da un suave aspecto
de enfermo.
Las personas que visitan a los McBride me cuentan cosas sorprendentes.
Hablan de unas comidas incomprensibles, de almuerzos y cenas sin rosbif;
me describen a Joshua devorando enormes fuentes de ensalada.
Naturalmente, de tales alimentos no puede extraer las calorías que daban
auge a sus antiguas cóleras. Sus platos favoritos han sido
metódicamente alterados o suprimidos por implacables y adustas
cocineras. El patagrás y el gorgonzola no envuelven ya el roble ahumado
del comedor en su untuosa pestilencia.
Han sido remplazados por insípidas cremas y quesos inodoros que Joshua
come en silencio, como un niño castigado. Pamela, siempre amable y
sonriente, apaga el habano de Joshua a la mitad, raciona el tabaco de su
pipa y restringe su whisky.
Esto es lo que me cuentan. Me place imaginarlos a los dos solos, cenando
en la mesa angosta y larga, bajo la luz fría de los candelabros.
Vigilado por la sabia Pamela, Joshua el glotón absorbe colérico sus
livianos manjares. Pero sobre todo, me gusta imaginar al rinoceronte en
pantuflas, con el gran cuerpo informe bajo la bata, llamando en las
altas horas de la noche, tímido y persistente, ante una puerta
obstinada.
miércoles, 10 de junio de 2015
Proyecto de un beso de Leopoldo María Panero
Proyecto de un beso
Te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra.
Te mataré mañana poco antes del alba
cuando estés en el lecho, perdida entre los sueños
y será como cópula o semen en los labios
como beso o abrazo, o como acción de gracias.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra
y en el pico me traiga la orden de tu muerte
que será como beso o como acción de gracias
o como una oración porque el día no salga.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y ladre el tercer perro en la hora novena
en el décimo árbol sin hojas ya ni savia
que nadie sabe ya por qué está en pie en la tierra.
Te mataré mañana cuando caiga la hoja
decimotercera al suelo de miseria
y serás tú una hoja o algún tordo pálido
que vuelve en el secreto remoto de la tarde.
Te mataré mañana, y pedirás perdón
por esa carne obscena, por ese sexo oscuro
que va a tener por falo el brillo de este hierro
que va a tener por beso el sepulcro, el olvido.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y verás cómo eres de bella cuando muerta
toda llena de flores, y los brazos cruzados
y los labios cerrados como cuando rezabas
o cuando me implorabas otra vez la palabra.
Te mataré mañana cuando la luna salga,
y al salir de aquel cielo que dicen las leyendas
pedirás ya mañana por mí y mi salvación.
Te mataré mañana cuando la luna salga
cuando veas a un ángel armado de una daga
desnudo y en silencio frente a tu cama pálida.
Te mataré mañana y verás que eyaculas
cuando pase aquel frío por entre tus dos piernas.
Te mataré mañana cuando la luna salga
te mataré mañana y amaré tu fantasma
y correré a tu tumba las noches en que ardan
de nuevo en ese falo tembloroso que tengo
los ensueños del sexo, los misterios del semen
y será así tu lápida para mí el primer lecho
para soñar con dioses, y árboles, y madres
para jugar también con los dados de noche.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra.
Te mataré mañana poco antes del alba
cuando estés en el lecho, perdida entre los sueños
y será como cópula o semen en los labios
como beso o abrazo, o como acción de gracias.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra
y en el pico me traiga la orden de tu muerte
que será como beso o como acción de gracias
o como una oración porque el día no salga.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y ladre el tercer perro en la hora novena
en el décimo árbol sin hojas ya ni savia
que nadie sabe ya por qué está en pie en la tierra.
Te mataré mañana cuando caiga la hoja
decimotercera al suelo de miseria
y serás tú una hoja o algún tordo pálido
que vuelve en el secreto remoto de la tarde.
Te mataré mañana, y pedirás perdón
por esa carne obscena, por ese sexo oscuro
que va a tener por falo el brillo de este hierro
que va a tener por beso el sepulcro, el olvido.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y verás cómo eres de bella cuando muerta
toda llena de flores, y los brazos cruzados
y los labios cerrados como cuando rezabas
o cuando me implorabas otra vez la palabra.
Te mataré mañana cuando la luna salga,
y al salir de aquel cielo que dicen las leyendas
pedirás ya mañana por mí y mi salvación.
Te mataré mañana cuando la luna salga
cuando veas a un ángel armado de una daga
desnudo y en silencio frente a tu cama pálida.
Te mataré mañana y verás que eyaculas
cuando pase aquel frío por entre tus dos piernas.
Te mataré mañana cuando la luna salga
te mataré mañana y amaré tu fantasma
y correré a tu tumba las noches en que ardan
de nuevo en ese falo tembloroso que tengo
los ensueños del sexo, los misterios del semen
y será así tu lápida para mí el primer lecho
para soñar con dioses, y árboles, y madres
para jugar también con los dados de noche.
Te mataré mañana cuando la luna salga
y el primer somormujo me diga su palabra.
El último hombre, de Leopoldo María Panero. Madrid. Ed. Libertarias, 1984
jueves, 14 de mayo de 2015
Yo tampoco, querido
“No he notado en las feministas mayor simpatía por las otras mujeres" leo en tiempo exacto Descanso de caminantes
martes, 14 de abril de 2015
miércoles, 25 de febrero de 2015
Hunter S. Thompson, gonzo existencial
Esta carta fue publicada en el libro Letters of Note: An Eclectic Collection of Correspondence Deserving of a Wider Audienc editado en el 2013.
Es una carta del año 1958 que Thompson le envía a Hume Logan, amigo personal que estaba en ese momento en medio de una "crisis existencial":
April 22, 1958
57 Perry Street
New York City
Estimado Hume,
Usted me pide consejo: ¡ah, qué cosa más humana y peligrosa de hacer es esa! Dar consejos a un hombre que pregunta qué hacer con su vida implica algo muy cercano a la egolatría. Presumir de poder señalarle a un hombre con un dedo tembloroso la dirección correcta es un lugar que solo un tonto podría ocupar.
Yo no soy un tonto, pero respeto su sinceridad en pedir mi consejo. Le pido que, sin embargo, en la escucha de lo que digo, recuerde que todos los consejos sólo pueden ser un producto de quién los da, la verdad de uno puede ser un desastre al otro. No veo la vida a través de sus ojos ni a través mío. Si yo fuera a tratar de darle consejos específicos, sería un ciego guiando a otro ciego.
"Ser o no ser: esa es la cuestión: Si es más noble para el espíritu: sufrir los golpes y dardos de la insultante fortuna, o tomar las armas contra un mar de problemas ..." (Shakespeare)
Y así es, esa es la cuestión: dejarse llevar por la corriente o nadar contra corriente para alcanzar una meta. Es una decisión que todo mundo debe tomar, consciente o inconscientemente, en algún momento de nuestra vida. ¡Muy pocas personas lo entienden! Piensa en cualquier decisión que hayas tomado y que haya repercutido en tu futuro. Tal vez erre, pero no concibo que exista otra opción —aunque indirecta— más que alguna de esas dos que te he dicho: dejarse llevar o nadar.
Pero, ¿por qué no flotar cuando no se tiene una meta? Esa es otra cosa. Es indudablemente mejor disfrutar las mareas que nadar en la incertidumbre. ¿Cómo es que una persona descubre su meta? No un castillo en el aire, sino una cosa real y tangible. ¿Cómo se puede estar seguro de que no se persigue “la gigantesca montaña de dulce”, la atractiva meta de azúcar un poco desabrida y sin substancia?
La respuesta - y, en cierto sentido, la tragedia de la vida - es que buscamos entender el objetivo y no al hombre. Establecemos una meta que nos exige ciertas cosas, y hacemos esas cosas. Nos adaptamos a las exigencias de un concepto que no puede ser válido. Cuando era joven, digamos que usted quería ser bombero. Me siento bastante seguro al decir que ya no quiere ser bombero. ¿Por qué? Debido a que su perspectiva ha cambiado. No es el bombero lo que ha cambiado, es usted.
Todo hombre es la suma total de sus reacciones a la experiencia. A medida que sus experiencias son diferentes y se multiplican, se convierte en un hombre diferente, y por lo tanto están los cambios de perspectiva. Esto sigue y sigue. Cada reacción es un proceso de aprendizaje, cada experiencia significativa altera su punto de vista.
Por lo que parece absurdo, ¿no?. Ajustar nuestras vidas a las exigencias de un objetivo que vemos de manera diferente cada día. ¿Cómo podríamos tener la esperanza de lograr algo que no sea una neurosis galopante?
La respuesta entonces no tiene que ver con las metas de ninguna manera, ni siquiera con metas tangibles. Tomaría resmas de papel describir esta opresión de la felicidad. Sólo Dios sabe cuántos libros se han escrito sobre “el significado del hombre” o algo por el estilo, y Dios sabrá cuántas personas han reflexionado sobre esto. (Digo “sólo Dios sabe” como una simple expresión.) No soy muy elocuente al tratar de explicártelo en un proverbio porque soy el primero en admitir mi absoluta falta de habilidades para reducir el significado de la vida a uno o dos párrafos.
Me propongo alejarme de la palabra “existencialismo”, sin embargo recuérdala como una palabra importante. Tal vez debas leer El ser y la nada de Jean-Paul Sartre y otro librito llamado Existencialismo: de Dostoyevsky a Sartre. Son meras recomendaciones. Si realmente te sientes satisfecho con lo que eres y con lo que haces entonces rehúye de esos libros. (No provoquemos al perro dormido.) Pero volviendo a la respuesta. Como te decía, tener fe en una meta tangible sería poco inteligente porque no luchamos por ser bomberos, no luchamos para ser banqueros, ni policías, ni doctores. Luchamos por ser nosotros mismos.
No me malinterpretes. No quiero decir que no podamos ser bomberos, banqueros o doctores, sino que debemos ajustar la meta a nosotros en lugar de ajustarnos nosotros a la meta. En toda persona la herencia y la cultura combinadas producen una criatura de ciertas habilidades y deseos con una enraizada necesidad de funcionar de tal manera que su vida sea significativa. Una persona debe ser algo porque no es nada.
Desde mi perspectiva, la fórmula sería esta: una persona debe escoger un camino que le permita explotar sus habilidades al máximo para que cumpla sus deseos. Al hacerlo, satisface una necesidad (otorgándose a sí mismo una identidad a través de una funcionalidad preestablecida para alcanzar una meta preestablecida), evita frustrar su potencial (escogiendo un camino que lo exime de los límites de su autodesarrollo) y evita el horror de ver su meta ya sea desvanecerse o menos atractiva conforme se acerca a ella (en lugar de ajustarse a las demandas que procura, modifica la meta de acuerdo a sus habilidades y deseos).
En suma, no debes abocar tu vida para alcanzar un meta predefinida, sino que debes escoger un estilo de vida que sabes que disfrutas. La meta es completamente secundaria: es la funcionalidad conforme a la meta lo que es importante. Suena casi ridículo que una persona deba funcionar de acuerdo a un patrón formulado por su propia voluntad, pero dejar que otro decida tus propósitos es renunciar a uno de los aspectos más significativos de la vida: el acto definitivo de la voluntad que nos hace individuos.
Supongamos que se te presentan ocho caminos a seguir (todos predefinidos, por supuesto). Luego supongamos que no avizoras propósito ninguno en esos caminos. Entonces —y aquí yace la esencia de todo lo que he dicho— tu deber es encontrar un noveno camino.
Naturalmente, no es tan fácil como suena. Has tenido una vida relativamente estrecha, vertical diría más que horizontal, por lo que no es difícil de entender por qué te sientes como te sientes. Sin embargo, un hombre que procrastina su decisión inevitablemente tomará esa decisión obligado por su circunstancia.
Así que si te consideras a ti mismo dentro del club de los desencantados, entonces no tienes otra opción más que aceptar las cosas como son o, en otro caso más serio, procurar otra cosa. Pero se cuidadoso al buscar tus metas: busca un estilo de vida. Decide cómo quieres vivir y entonces considera lo que puedes hacer para vivir dentro de ese estilo de vida. Dirás, “es que no sé por dónde empezar, no sé qué buscar”.
No obstante, hay un punto crucial en esto: ¿vale la pena renunciar a lo que deseo por algo mejor? No lo sé. ¿Lo vale? ¿Quién más puede tomar la decisión más que tú mismo? Pero incluso cuando decides qué buscar todavía tienes un largo camino frente a ti.
Si no doy por terminado este asunto es porque debo ir a escribir un libro. Espero que todo eso no te confunda al principio, sólo recuerda que esta es, por supuesto, mi forma de ver las cosas. Para mí es evidente que todo lo que dije es pragmático, pero tu pudieras no verlo así. Cada de uno nosotros necesita su propio credo y este simplemente es el mío.
Si acaso alguna parte no tiene sentido, por favor házmelo saber. No intento enviarte afuera en búsqueda del Santo Grial, sólo intento decirte que no tienes porqué aceptar las decisiones que la vida te ha ofrecido. Las cosas son más complejas; nadie está obligado a hacer algo que no quiere hacer por el resto de su vida. Pero, de nuevo, si eso es lo acabas haciendo, debes convencerte por completo que eso es lo que tienes que hacer. No serás el único.
Y, bueno, eso es todo por ahora. Hasta que no sepa algo de ti siempre seré tu amigo,
Hunter
martes, 24 de febrero de 2015
Passione italiana
"Los italianos eran lo mejor y lo peor: entre ellos había cobardes y valientes a partes iguales. Es más: el heroísmo de aquellos valientes obedecía a sus cambios de humor. Los más temerarios podían ser los más cobardes a la mañana siguiente de su proeza."
El sabotaje amoroso, de Amélie Nothomb.
Ok. La ciclotimia, neurosis y la convicción que "el día después" de "algo" siempre es raro, también son herencia ancestral ✓
lunes, 1 de abril de 2013
Hola y adiós
Hola y adiós no es de mis favoritos de Ray pero ayer lo releí y pasó algo diferente en ciertas frases. Definitivamente todo lo que sea "tiempo" a partir de cierta edad provoca acercamientos de otro tipo. (Otra excusa más en mi vida para defender por qué los libros y las pelis se pueden leer y ver miles de veces. Eso de la repetición, del loop, no es cosa de las canciones nada más, aunque claro, corren con ventaja por velocidad, comodidad y sí, el tiempo de inversión).
Aquí unos rescates de Hola y adiós, pegados como si fueran todo uno, un poco jugando y otro para evitar cagarle la lectura del texto completo a alguien por si aún no lo conoce:
"Pues claro que se iba, qué otra cosa podía hacer, el tiempo se había agotado y se iba, se iba muy lejos.
Vio en el espejo de su cómoda un rostro formado por dientes de león de junio, manzanas de julio y leche de cálida mañana de verano. Allí, como siempre, se reflejaban el ángel y el inocente, aquella efigie que tal vez nunca, en todos los años de su vida, llegase a cambiar.
-No resulta fácil irse -dijo Willie-. Se acostumbra uno a la situación. Desea uno quedarse, pero no puede ser.
Cuando veo una ciudad que promete ser verde y agradable, me quedo.
Y los años que pasan, que vuelan; las voces, y los rostros, y las gentes; las primeras conversaciones, siempre las mismas.
¡Qué vergüenza que todas esas flores hayan de ser cortadas, que sea preciso extinguir el fulgor de esos fuegos! Qué vergüenza que éstos, todos esos que vemos en las escuelas o correteando por ahí hayan de tornarse altos y desagradables; que luego lleguen las arrugas, la sal y la pimienta en el pelo, o la calvicie, para luego, finalmente, puros huesos y resuellos, tener que morir, enterrados y olvidados.
En aquel mismo instante supe cuál iba a ser mi trabajo durante el resto de mi vida. Sí, había trabajo para mí, después de todo: hacer felices a gentes solitarias. Mantenerme ocupado. Jugar eternamente. Me di cuenta de que tendría que jugar eternamente.
Habré doblado el cabo de las tormentas, habré olvidado las insatisfacciones y casi todos los sueños. Tal vez entonces pueda comportarme con naturalidad y representar mi papel hasta el final.
Se despertó de madrugada, una madrugada con olor de la neblina y del frío metal, envuelto en el olor ferroso del tren que lo rodeaba, los huesos sacudidos, entumecidos los miembros por toda una noche de viaje. Se despertó con olor de sol tras el horizonte; su vista se tendió sobre una pequeña villa recién surgida del sueño. Se estaban encendiendo las primeras luces, murmuraban quedas las voces; una señal roja oscilaba adelante y atrás, atrás y adelante, en el aire frío de la mañana. Había ese silencio somnoliento en el cual los ecos están dignificados por la claridad, en el cual los ecos se encuentran desnudos, nítidos y solitario.
Después, mientras el sol se alzaba, echó a andar a toda prisa para guardar el calor, bajando de la estación, entrando en la nueva ciudad."
Y sin querer, o sumamente queriendo, quién sabe, suena de fondo:
"At my request, you take me in
In that tenderness, I am floating away
No certainty, nothing to rely on
Holding still for a moment
What a moment this is
Oh for a moment of forgetting, a moment of bliss
I can hear the distant thunder
Of a million unheard souls
Of a million unheard souls...
It was all for the union"
miércoles, 13 de marzo de 2013
Conversando con los planetas de Anthony Aveni
"Apagad las luces para observarlas de verdad, las que están en el cielo; las que nuestros antepasados, con su imaginativa mente, usaron para configurar un maravilloso conjunto de imágenes poéticas que nos hablan de ellos mismos y de su relación con el universo. Porque hace ya mucho tiempo que las puntas de los dedos de la humanidad tocan la tierra y el cielo con gran sensibilidad, y de esas sensaciones ha ido surgiendo la conciencia de que nunca podríamos estar separados de la naturaleza. Para expresar su presencia consciente en un universo vivo, nuestros antecesores se valieron de un diálogo vívido e imaginativo con sus múltiples aspectos: con la montaña, el agua, la Luna, el Sol. Mediante el arte, la arquitectura y la palabra, hablada y escrita, explicaron que significaba para ellos el mundo real, y así transmitieron sus verdades reveladas a las generaciones siguientes, que aceptaron como eternas algunas de ellas y alteraron otras."
Conversando con los planetas de Anthony Aveni
©Helena Pérez García |
martes, 12 de marzo de 2013
"la indiferencia de cualquiera me fascina"
De un día como hoy pero de 1965. De una mirada interior pero desde otra persona.
Desde los diarios de Alejandra Pizarnik, porque sí, porque siempre Alejandra.
"12/03/1965
¿Por qué necesito humillarme?
¿Por qué necesito llamar a quien no quiere venir y por qué me entristece recibir a quien llega con deseos de verme? ¿Por qué el amor de alguien a mí infunde en mí odio por ese alguien y por qué la indiferencia de cualquiera me fascina?
Aun si todo va más o menos serenamente necesito, cada dos o tres meses, una noche de hundimiento.
Necesidad de encarnar presagios y sueños. El mundo externo se opone. Esto es obvio y no obstante no puedo admitirlo; lo quiero -en nombre de mi, digamos, instinto de conservación- lo quiero, digo, pero no puedo. Queda por averiguar si lo quiero verdaderamente.
Luego, por más que crea haber progresado y madurado, mi sentimiento del amor y del deseo es difuso y confuso como a los cinco, a los diez y a los quince años. Una noche sexual es un corte tajante. No puedo, no sé, no podré nunca unir esa noche a las obligaciones, relojes, horarios, etc. Siempre, después de una noche sexual, hago planes de orden: ordenación de escritos, de lecturas, etc. Como quien estuvo al borde de la muerte y al incorporarse proyecta actos sanos y enérgicos.
Una noche sexual es agonía, es muerte y es la única felicidad.
Pero ciertos gestos, ciertas palabras, yo pierdo conciencia, yo estoy ebria cuando me desnudan, algo lejano y presente. Se repite lo que no se vio nunca. Siempre hago el amor por primera vez. Mi asombro, mi perdición, mi asfixia, mi liberación.
Soy una cobarde. Lo sexual, para mí, es el único camino de iniciación. Yo a veces lo abandono por miedo. Así como para otros el ascetismo, para mí lo sexual.
Pero esta necesidad, además, de consumirse. Este apalear a un animal muerto. ¿Qué pasa en mí que golpeo puertas cerradas? Lo sexual, sí. Pero no sé por qué me fascinan los que no me desean. Éste es mi emblema. Ésta es mi maldición. Cualquiera que te abandone logrará seducirte. Y viceversa.
¿Cuándo empezó? (...)"
Desde los diarios de Alejandra Pizarnik, porque sí, porque siempre Alejandra.
"12/03/1965
¿Por qué necesito humillarme?
¿Por qué necesito llamar a quien no quiere venir y por qué me entristece recibir a quien llega con deseos de verme? ¿Por qué el amor de alguien a mí infunde en mí odio por ese alguien y por qué la indiferencia de cualquiera me fascina?
Aun si todo va más o menos serenamente necesito, cada dos o tres meses, una noche de hundimiento.
Necesidad de encarnar presagios y sueños. El mundo externo se opone. Esto es obvio y no obstante no puedo admitirlo; lo quiero -en nombre de mi, digamos, instinto de conservación- lo quiero, digo, pero no puedo. Queda por averiguar si lo quiero verdaderamente.
Luego, por más que crea haber progresado y madurado, mi sentimiento del amor y del deseo es difuso y confuso como a los cinco, a los diez y a los quince años. Una noche sexual es un corte tajante. No puedo, no sé, no podré nunca unir esa noche a las obligaciones, relojes, horarios, etc. Siempre, después de una noche sexual, hago planes de orden: ordenación de escritos, de lecturas, etc. Como quien estuvo al borde de la muerte y al incorporarse proyecta actos sanos y enérgicos.
Una noche sexual es agonía, es muerte y es la única felicidad.
Pero ciertos gestos, ciertas palabras, yo pierdo conciencia, yo estoy ebria cuando me desnudan, algo lejano y presente. Se repite lo que no se vio nunca. Siempre hago el amor por primera vez. Mi asombro, mi perdición, mi asfixia, mi liberación.
Soy una cobarde. Lo sexual, para mí, es el único camino de iniciación. Yo a veces lo abandono por miedo. Así como para otros el ascetismo, para mí lo sexual.
Pero esta necesidad, además, de consumirse. Este apalear a un animal muerto. ¿Qué pasa en mí que golpeo puertas cerradas? Lo sexual, sí. Pero no sé por qué me fascinan los que no me desean. Éste es mi emblema. Ésta es mi maldición. Cualquiera que te abandone logrará seducirte. Y viceversa.
¿Cuándo empezó? (...)"
© Sophie Lecuyer
miércoles, 27 de febrero de 2013
California que el cielo existe
Poema de Esteban García a Alicia Silverstone
(un poema que hubiese amado escribir yo a no sé bien quien)
California que el cielo existe
que el día sea clarísimo
que la comida sea sabrosa y abundante
que los amigos sean divertidos
que la cama sea blanda
que los espejos sean grandes
que haya blueberries y helado de postre
que el beso sea largo y mojado
que la billetera esté hinchada
que el agua y la sombra sean frescas
que alguien cuente algo que haga reír
que salgas de compras en países extranjeros
que la heladera esté colmada
que la piel sea suave oscura y olorosa
que el fin de semana haya una megafiesta
que esté él
que la ropa sea nueva y esté de moda
que tu cuerpo se vea espléndido al moverse
que sientas como siente un animal
que te guíes solamente por el tacto y por olfato
que goces como una perra
que seas profundamente triste y salvajemente alegre
y extremadamente agitada y absolutamente tranquila
que haya música moderna cuando tengas ganas de bailar
que los desconocidos saluden y digan hola
que brillen las estrellas
que nada te preocupe
que no esperes nada
que vos des el primer paso
que solamente lo hagasque no pienses en nada más que en eso
que no pienses en nada
que no pienses en nadie
ni en vos misma
que ya no tengas miedo a nada
que arrases con todo.
(un poema que hubiese amado escribir yo a no sé bien quien)
California que el cielo existe
que el día sea clarísimo
que la comida sea sabrosa y abundante
que los amigos sean divertidos
que la cama sea blanda
que los espejos sean grandes
que haya blueberries y helado de postre
que el beso sea largo y mojado
que la billetera esté hinchada
que el agua y la sombra sean frescas
que alguien cuente algo que haga reír
que salgas de compras en países extranjeros
que la heladera esté colmada
que la piel sea suave oscura y olorosa
que el fin de semana haya una megafiesta
que esté él
que la ropa sea nueva y esté de moda
que tu cuerpo se vea espléndido al moverse
que sientas como siente un animal
que te guíes solamente por el tacto y por olfato
que goces como una perra
que seas profundamente triste y salvajemente alegre
y extremadamente agitada y absolutamente tranquila
que haya música moderna cuando tengas ganas de bailar
que los desconocidos saluden y digan hola
que brillen las estrellas
que nada te preocupe
que no esperes nada
que vos des el primer paso
que solamente lo hagasque no pienses en nada más que en eso
que no pienses en nada
que no pienses en nadie
ni en vos misma
que ya no tengas miedo a nada
que arrases con todo.
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